Observatorium

Costruire all’interno di una galleria – luogo privilegiato di messa a punto di uno sguardo – un osservatorio, significa per Paolo Parisi duplicare e porre en abyme la sua funzione di dispositivo-per-la-visione e, contemporaneamente, gettare un ponte tra pittura e “natura”. Una scelta capace di introdurre lo spettatore alla genesi di un’opera che, partendo da elementi non arbitrari, quali la cartografia, l’ottica fotografica e il rilievo architettonico, restituisce un’inedita visione del “paesaggio”, attraverso una pittura che in-contra la tradizione modernista del monocromo, pur senza ridurvisi. I termini “astrazione” e “pittura digitale” vanno, nel caso di Paolo Parisi, rigorosamente posti tra virgolette: la sua è infatti una pittura che, nonostante le apparenze, scaturisce da un avvicinamento a dati paesaggistici concreti, come ha inequivocabilmente mostrato nell’opera su vetro intitolata Casa dell’arte (verde cadmio e magenta), composta da due grandi monocromi, realizzati dall’artista ritracciando il panorama situato loro di fronte, tramite singoli tocchi di colore che, come macroscopici pixel, ne sottolineano e ne occultano il profilo. In mostra presso la galleria Nicola Fornello, accanto all’opera dal titolo Observatorium, struttura abitabile ma realizzata, come precedenti maquette, con strati sovrapposti di cartone sagomato, sono proposti quadri che invertono il rapporto tra il “primo piano” e lo “sfondo” o trasferiscono su tela, tramite proiezione, il procedimento di risottolineatura, già sperimentato su vetro: opere che scompongono l’immagine di partenza in differenti canali cromatici, come avviene per la stampa tipografica, ma utilizzano poi per ricomporla, un colore unico, deposto sul supporto, in sedute successive, tramite impronte digitali che creano costellazioni di grande impatto visivo, in cui l’aptico parassita l’ottico, costringendo la percezione ad una deriva infinita. Configurandosi come una meta costantemente differita, il monocromo di Paolo Parisi lascia trasparire l’impurità della propria genesi, minando la propria assolutezza con imperfezioni e lacune che, come riserve d’avvenire, gli permettono di scartarsi dalla tradizione metafisica di ciò che McEvilley ha definito “l’icona più enigmatica dell’arte moderna”. 

© 2004, Saretto Cincinelli. In «Flash Art» n° 247, agosto-settembre 2004